Giulio Bacosi

Scuote l’anima mia Malinconia

Il significato di “Melanconia” è nascosto – come sempre – nell’etimologia della parola: che ha a che fare con il “nero” e con la “bile”. Ma poeti e musicisti, si sa, sono capaci di conferire Armonia ad ogni cosa…

Quando  ascolto un brano di Chopin, come ho già ricordato, subito arriva una melanconia. Capita anche ascoltando altre musiche, oppure leggendo versi di poeti, guardando un tramonto o gli occhi di una donna o aspirando un profumo che porta con sé un ricordo lontano. Ma con Chopin non è soltanto una sensazione fugace, l’emozione di un attimo, ma un sentimento, uno stato dell’anima che non ti lascia fino a quando quelle note risuonano.

Per capire il rapporto che lega quella musica alla melanconia bisogna domandarsi in che cosa consiste la sua essenza, la sua forma, lo strumento da cui promana. Forse bisogna anche chiedersi che cosa sia la melanconia. Direi che bisogna ascoltare i Walzer suonati da Chopin, i Notturni, le Polacche, le tre Sonate che alternano frasi veloci che spesso percorrono tutta la tastiera del pianoforte con pause improvvise. Gli accordi di accompagnamento sono pochissimi. La velocità a volte è scatenata e altre volte lascia spazio a improvvise lentezze. Lo strumento esclusivo è il pianoforte dove la lunghezza delle corde è fissa ma il loro spessore è variabile.

Chopin compone musiche che affida al pianoforte. Effetti analoghi si ritrovano in alcuni adagi di sinfonie romantiche: una Quinta , una Settima e la Nona di Beethoven; l’ Ottava e la Grande di Schubert e tutta la cameristica di Brahms e la Quarta e la Quinta di Mahler. Ma anche l’ Arte della Fuga di Bach. Quanto a Mozart, la sua è sotto varie apparenze e alternanze tra il grave e il giocoso.

Ma quello tra tutti che più si identifica con la melanconia e ne suscita il sentimento è Chopin. Insieme a lui e più di lui, al di fuori della musica, direi la pittura ritrattistica del Quattrocento-Cinquecento italiano, la poesia di Petrarca e di Leopardi, il grande deposito della melanconia scespiriana e quelle di Rilke, Proust.

Bisogna guardare a fondo in questi alfabeti poetici per immedesimarsi nello stato melanconico, nella tonalità della tristezza che abita nell’anima di ogni uomo e di ogni donna viventi. Nell’uomo esiste molto diffuso il sentimento della tristezza e quello più leggero della melanconia. Viene naturale pensare che ci sia un rapporto frequente con la morte e con la consapevolezza del nostro limite temporale di vivere.

Io non credo però che sia il pensiero della morte a creare tristezza dentro di noi. Può creare paura, angoscia, bisogno di fuggire in qualche modo da quella minaccia, ma non tristezza.Leopardi canta la tristezza del passero solitario pensando alla propria solitudine ma non alla morte. E così lo sguardo melanconico delle madonne del Botticelli o dei giovani di Tiziano e di Lorenzo Lotto. C’è rimpianto e tristezza in questi vari autori e la tristezza è molto diffusa ma stiamo attenti a non confondere la melanconia con la nostalgia: sono due sentimenti confinanti ma diversi. Ogni scelta comporta un abbandono, una rinuncia, una solitudine compensata da nuovi incontri che mai cancellano tuttavia la privazione subita o voluta. I semitoni in bemolle della musica romantica colgono l’ hesitation di una scelta che sta per essere effettuata e che quando sarà stata decisa scatenerà sulla tastiera la vitalità della nuova impresa per poi ritrovarsi di nuovo di fronte al languore della melanconia ampiamente diffusa negli occhi delle madonne dei Bellini, del Botticelli, del Pinturicchio.L’artista pervaso di malinconia fino nel fondo della sua anima è Raffaello. Una soavità delle sue madonne che alterna il loro smarrimento a una maternità solitaria. Non c’è stata e non ci sarà famiglia della madre carnale e verginale del figlio di Dio ma soltanto un cuore trafitto da sette spade.

Abbiamo fin qui nominato autori e opere italiane, ma nel frattempo la cultura dal Cinquecento in poi fu molto alta anche in Francia, in molte regioni della Germania e in Inghilterra. Se vogliamo parlare di un’opera fondamentale per l’età moderna dobbiamo ricordarci della Recherche . Proust passò l’intera sua vita in quello stato di fascinazione creato dall’ascolto del tempo. Non aveva nessuna importanza che le vicende dei suoi personaggi fossero futili, i loro pensieri svagati, i loro vizi sordidi e la loro eleganza ostentata. L’autore era considerato un testimone e spesso variava pur mantenendo una personalità ripetuta: a volte Charlus, a volte Albertine oppure Odette, a volte Verdurin. I personaggi della Recherche hanno tutti il loro corrispettivo nella vita reale; l’autore li ha conosciuti, ammirati, disprezzati e insomma e soprattutto creati dando luogo a ulteriori opere letterarie di una psicologia formidabile.** * Potere e amore, tristezza e sentimento del tempo, fervore creativo e allegria: un’epoca così gremita di contrasti che l’hanno punteggiata con il male, trasfigurata… e a chi è affidato di rappresentare la sua essenza e tramandarne il ricordo? Io credo che sia Shakespeare a dover adempiere a questo ufficio: nessuno meglio di lui ha compreso e raccontato la violenza del potere, l’amorosa melanconia, l’allegria e la gagliardia della giovinezza. Nessuno più di lui ha misurato il tempo che senza tregua trasporta i fatti e i pensieri. Un talento artistico eccezionale fu quello di Shakespeare, basti pensare soltanto a come tratteggiò Romeo e Giulietta, i due innamorati e in conflitto con le nobili famiglie di cui facevano parte.Oppure si pensi ai drammi basati sulla storia delle guerre tra l’Inghilterra e la Francia, tra Enrico re d’Inghilterra e il Delfino di Francia terribilmente sconfitto nella battaglia di Azincourt. Anche nell’Enrico V c’è la politica che si incrocia con la sessualità, il potere, l’amore.

In seguito la vita pubblica come quella privata in gran parte dell’Europa subì enormi mutamenti. Nacque la Rivoluzione del socialismo, del radicalismo, del comunismo e della dittatura. I nomi che guidarono in modi estremamente diversi l’uno dall’altro cominciarono con la presa della Bastiglia, l’impero di Napoleone Bonaparte. Lo zarismo fatto fuori dal partito comunista e infine la nascita del mondo contemporaneo agli inizi del Novecento.

Se si volessero definire gli ultimi cent’anni arriveremmo a due passioni: l’Amore e il Potere. I moderni conoscono bene quella gioia e quella sofferenza che si identificano con un volto, uno sguardo, un profumo. L’Ottocento e il Novecento segnano l’inizio della modernità e i personaggi sono molteplici. Due soprattutto: Leopardi e García Lorca. Due poeti estremamente diversi l’uno dall’altro ma che hanno comunque marcato l’epoca moderna.«O speranze, speranze, ameni inganni /della mia prima età! sempre, parlando /ritorno a voi; ché, per andar di tempo,/ per variar d’affetti e di pensieri / obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,/ son la gloria e l’onor; diletti e beni/ mero desio; non ha la vita un frutto,/ inutile miseria. E sebben vòti/ son gli anni miei, sebben deserto, oscuro/ il mio stato mortal, poco mi togie/ la fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta a voi ripenso, / o mie speranze antiche,/ ed a quel caro immaginar mio primo;/ indi riguardo il viver mio sí vile/ e sí dolente, e che la morte è quello/ che di cotanta speme oggi m’avanza;/sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto/ consolarmi non so del mio destino./ E quando pur questa invocata morte/ sarammi allato, e sará giunto il fine/ della sventura mia; quando la terra/ mi fia straniera valle, e dal mio sguardo/fuggirà l’avvenir; di voi per certo/risovverrammi; e quell’imago ancora/ sospirar mi farà, farammi acerbo/ l’esser vissuto indarno, e la dolcezza/ del dí fatal tempererà d’affanno ».E il Gitano: «Dite ai miei amici che sono morto.dite che io sono rimasto con gli occhi spalancati.

E il volto coperto dall’immortale fazzoletto dell’azzurro».

E ancora: «Cuando yo me muera, enterradme con mi guitarra bajo la arena.

Cuando yo me muera, entre los naranjos y la hierbabuena.

Cuando yo me muera, enterradme si queréis en una veleta.

Cuando yo me muera!».

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