Giulio Bacosi

Dziwisz “Wojtyla ferito si stava lasciando andare Lo salvai parlandogli”

Domani, 13 Maggio di 40 anni or sono, nel giorno della prima apparizione a Fatima nel 1917, la Storia europea e mondiale (di nuovo) a un punto di svolta.
Sempre per quanto può “valere”, considerati i 13 miliardi e più anni dell’Universo…

«In quel momento pensai solo a salvarlo.

Ero dietro di lui, sulla papamobile, quando sentii i due colpi provenienti dalla folla pochi attimi dopo aver benedetto e baciato una bambina. Nemmeno il tempo di capire che cosa stesse succedendo, vidi subito che si stava lasciando andare, privo di forze, ma con le mani strette sulla pancia e una improvvisa smorfia di dolore. Senza perdere mai i sensi indicava il punto dove era stato ferito, sulla veste bianca macchiata di rosso».

L’attentato a Papa Giovanni Paolo II per mano del terrorista turco Alì Agca, il 13 maggio 1981, quarant’anni fa, rivive nel ricordo di chi in quegli attimi ha contribuito a salvargli la vita: don Stanislao Dziwisz, cardinale emerito di Cracovia, 82 anni compiuti il 27 aprile scorso, suo storico segretario personale dal 1963. È un assolato pomeriggio di un mercoledì quando Giovanni Paolo II, a tre anni e mezzo dall’elezione, durante l’udienza generale in piazza San Pietro viene colpito da due colpi di pistola. Un momento di festa e di preghiera rotto alle 17.19 in punto, certificheranno le fonti ufficiali pontificie e il veterano dei vaticanisti, Gian Franco Svidercoschi, vice direttore emerito dell’ Osservatore Romano nel libro Una vita con Karol . «Ogni volta che ci penso — confessa Dziwisz — rivivo tutto fin dall’inizio, attimo dopo attimo.

Anche dopo tanto tempo lo ricordo come se fosse ora, una tragedia che mi ha segnato profondamente, che porto dentro di me, tutti i giorni, e mi chiedo sempre: ma perché volevano ucciderlo?».

Cardinale Stanislao Dziwisz, è indubbio che il suo immediato intervento è stato determinante nel salvare la vita al Papa.

«Non lo so. In quegli attimi convulsi, davanti alla gravità dell’accaduto ho pensato soltanto a non farlo cadere a terra. Il Papa era morente.

Soffriva tanto, pur restando sempre lucido. Ma non mi sono scoraggiato. Ho pregato e ho pensato solamente a salvarlo. Il resto lo hanno fatto i medici con l’aiuto della Madonna».

Lei quindi temeva che Wojtyla non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere?

«Non ho avuto tempo di pensare a niente. Dovevo salvarlo. Al momento degli spari, ero dietro di lui, che salutava e benediva tutti. Poco prima aveva preso in braccio una bambina bionda che aveva in mano un palloncino colorato. Il Papa la sollevò, poi la baciò e sorridendo la restituì alla mamma commossa. Una scena bellissima rotta improvvisamente da un primo sparo, mentre centinaia di piccioni volavano via come impazziti. Ad un secondo sparo vidi il Papa afflosciarsi su un fianco, addosso a me. Lo presi subito tra le mie braccia, mentre vidi di sfuggita tra la folla un giovane che si divincolava per scappare. Era l’attentatore…».Il Papa era cosciente?

Riuscivate a scambiarvi qualche parola?

«Sì, è stato sempre vigile, apparentemente sereno pur nella grande sofferenza. Quando gli ho chiesto dove gli faceva male, mi ha risposto subito “Qui, al ventre, mi fa tanto male”. Era il punto in cui avvertiva il dolore più intenso, anche se una seconda pallottola gli aveva colpito pure il gomito destro e ferito l’indice della mano sinistra»

.In quei momenti siete rimasti sempre sulla papamobile. Ma non c’era un’ambulanza pronta in piazza San Pietro dove il Papa poteva essere soccorso subito?

«L’ambulanza c’era, ma era dall’altra parte della piazza, impossibile da raggiungere subito. Allora, mentre io tenevo sollevato il Santo Padre, la jeep attraversò di corsa l’Arco della Campane (l’entrata in Vaticano da piazza San Pietro guardando a sinistra la facciata della basilica, ndr ), per passare al Cortile del Belvedere e fermarsi davanti alla direzione del Fas, il servizio sanitario della Santa Sede, dove il professor Renato Buzzonetti, il medico personale del Papa, era già pronto. Per tutta la corsa avevo sempre tenuto il Santo Padre stretto tra le mie braccia.

Mi fu letteralmente tolto dalle mani e poggiato a terra. Perdeva tanto sangue. Il professor Buzzonetti gli mosse le gambe e gli chiese di piegarle da solo. Il Papa lo fece, segno che non tutto era perduto. Senza perdere tempo, il Santo Padre fu caricato sull’ambulanza che di corsa volò verso il Policlinico Gemelli. Come andò lo sappiamo tutti».

(La Repubblica)

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