Giulio Bacosi

STORIA E ORGOGLIO DI UNA NAZIONE

Quelli della nostra Bandiera non sono 3 Colori qualunque.
Fede, Speranza e Carità sono note come le 3 Virtù teologali.
E non è l’unica associazione possibile…

N ato repubblicano, adottato dalla monarchia, rifiutato dall’internazionalismo comunista per poi spuntare dietro una bandiera rossa, combattuto dalla Lega secessionista, ridotto a drappo da sventolare nelle competizioni sportive, il Tricolore è tornato a essere il simbolo di tutti gli italiani. Grande merito va dato alla rivalutazione impressa da Carlo Azeglio Ciampi e ancor prima della legge che nel 1996 fissava al 7 gennaio la Festa del Tricolore. Ma per moto spontaneo la nostra bandiera è tornata protagonista in un momento di smarrimento collettivo in cui la vita di ciascuno di noi era messa in pericolo e tutti abbiamo sentito la necessità di raccoglierci attorno a un simbolo che rappresentasse l’intera collettività: i colori verde, bianco e rosso sono tornati così sui balconi delle nostre città non per festeggiare una vittoria ai campionati mondiali di calcio ma come simbolo di appartenenza e solidarietà, di comune sentire.

Il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, la Repubblica Cispadana adottò il tricolore come proprio simbolo. Le tre strisce erano disposte orizzontalmente e non verticalmente: dall’alto il rosso, in mezzo il bianco e in basso il verde. Al centro una faretra simboleggiava l’unione delle popolazioni di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio, mentre le lettere R e C erano le iniziali di Repubblica Cispadana. Per la verità le prime coccarde tricolori erano comparse a Bologna nel 1794 durante una rivolta organizzata dagli studenti Luigi Zambroni e Giovanni Battista De Rolandis, che persero la vita e vennero poi omaggiati da Napoleone Bonaparte. Fu questi in verità a introdurre il tricolore in Italia con l’ingresso a Milano nel maggio 1796. Gli oltre tremila volontari della Legione Lombarda adottarono per le loro coorti il vessillo tricolore sul modello francese del 1790, con il verde al posto del blu perché verdi erano le uniformi della guardia civica. Il bianco e il rosso erano i due colori dello stemma comunale (una croce rossa in campo bianco).

Il tricolore accompagnò tutta l’epopea risorgimentale: fu adottato dalla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, fu la bandiera della Repubblica romana con al centro l’iscrizione Dio e Popolo, ma con felice intuizione fu adottato anche da Carlo Alberto, re di Sardegna, quando capì che nella lotta antiaustriaca era il miglior simbolo di unità nazionale.

Quando Giuseppe Garibaldi tornò dal Sudamerica a bordo della nave Speranza, non avendo un vessillo tricolore a bordo, ne fece appendere all’albero maestro uno costruito artigianalmente con pezzi delle uniformi verdi, camicie rosse e brandelli di lenzuola. E quando partì da Quarto a capo dei Mille sui piroscafi Piemonte e Lombardo sventolava il tricolore. Il verde, bianco e rosso era un mix davvero vincente se Francesco II di Borbone, ormai a corto di argomenti, promise che lo avrebbe adottato quale simbolo di una rinnovata monarchia costituzionale.

Abbiamo visto che la superficie della banda centrale venne più volte utilizzata come un foglio bianco su cui dichiarare un orientamento o un’appartenenza. Così se il veneziano Daniele Manin volle al centro della bandiera il Leone di San Marco e Carlo Pisacane un archipendolo come emblema di equilibrio sociale, Leopoldo II di Toscana accettò di adottare il tricolore purché includesse lo scudo dei Lorena.

Il verde, bianco e rosso non mancò mai nelle grandi esplorazioni geografiche cui partecipavano gli italiani e naturalmente in tutte le guerre nazionali: quelle coloniali, il primo e il secondo conflitto mondiale. Pur carico di simboli propri il fascismo accettò il tricolore con al centro lo stemma sabaudo sormontato dalla corona, che venne sostituito durante la Repubblica sociale da un’aquila nera poggiante su fascio dorato.

Il rifiuto della retorica fascista contribuì ad allontanare gli italiani dai simboli patriottici, compresa la bandiera. Ma bisogna ricordare che durante la Resistenza il Tricolore fu il simbolo tra l’altro del Corpo Volontari della Libertà, che coordinava l’azione militare di tutte le formazioni, oltre che di tanti gruppi come quello di Giustizia e Libertà. Il Tricolore è quindi a pieno titolo il principale simbolo del 25 aprile, la festa della Liberazione.

Il 19 giugno 1946 un decreto presidenziale stabilì la foggia della bandiera italiana confermata nell’articolo 12 della Costituzione: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano verde bianco e rosso a bande verticali e di eguali dimensioni». Durante i lavori della Costituente, il 7 gennaio 1947 ricorrevano i 150 anni della bandiera cispadana: alla cerimonia di Reggio Emilia fu presente Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato. Il discorso ufficiale venne affidato allo storico Luigi Salvatorelli, fiero avversario della monarchia sabauda. Cinquant’anni prima la celebrazione del centenario aveva visto protagonista Giosuè Carducci.

Nel cinquantennio della Repubblica, con i partiti protagonisti assoluti della vita pubblica, si diceva che il bianco della bandiera rappresentava la Dc, il rosso il Pci e i socialisti, il verde i repubblicani e i laici. In realtà il nostro simbolo nazionale fu a lungo trascurato, nonostante l’impegno di leader come Giovanni Spadolini e Bettino Craxi. A imprimere una svolta fu Carlo Azeglio Ciampi, che volle stabilire un galateo del Tricolore e nel 2004 ottenne anche l’approvazione di un provvedimento che fissava un’unica tonalità per i colori della nostra bandiera.

(Corriere della Sera)

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