Giulio Bacosi

La bellezza…   delle cose incerte

Scienza ed Arte ci parlano di una medesima, invisibile cosa. La prima si avvale della Ragione, la seconda del Sentimento.

Nella fisica quantistica la realtà esiste solo se c’è chi la guarda. Così nell’arte: l’opera da sola è nulla se non c’è chi la osserva. E se è vero che l’arte è frutto di un atto politico, assolutamente autarchico, da parte dell’artista, è anche vero che la ricerca scientifica si muove nello stesso verso: scegliere che cosa osservare è un atto creativo.

È molto interessante l’avvio della nuova stagione di AGO Modena, che propone per domani alle 18 in streaming una conversazione tra un fisico, Daniele Oriti, e un artista, Luca Pozzi. Cercare le connessioni tra i mondi che i due rappresentano traccia il solco del programma dell’hub culturale, che ha per titolo, appunto, «iQuanti».

Guardando al ‘900, possiamo dire che è con Pollock e con il suo gesto artistico «casuale» che si salda il legame tra arte e quantistica?

POZZI «Sì, senza dimenticare Max Ernst o Duchamp. Oppure, andando indietro, il solco tracciato dai cosiddetti “puntinisti”».

ORITI «Forse quello è stato l’ultimo approdo di un dialogo molto fecondo. In seguito c’è stato un affievolimento, oltre ad una distanza più marcata tra la scienza e le persone. Meno male che la divulgazione, di recente, ha permesso di riaccendere l’attenzione».

Anche la tecnologia. Ha avvicinato la gente sia all’arte che alla scienza, spesso fondendo i due mondi: pensiamo ai linguaggi digitali.

POZZI «Nel mio lavoro ho tentato di creare dei ponti di continuità dando alle opere alcune delle caratteristiche che intuivo potessero essere affini alla gravità quantistica. Per farlo ho sfruttato le potenzialità di alcune tecnologie proprie del digitale».

ORITI «Questa nuova saldatura tra la vita quotidiana e la scienza vendica noi fisici. Qualcuno infatti contesta che quello che facciamo a volte è così astruso da non poter essere osservabile, qualcun altro, più cattivo, fa notare che ci sta pagando lo stipendio».

POZZI «Un po’ come noi artisti! È una questione di prospettiva: l’utilità dell’arte, come della ricerca scientifica, si vedrà in futuro, occorre sguardo lungo. E per l’arte non parlo di musei, che sono un surrogato della ricerca».

Sia l’arte che la quantistica presuppongono un universo fluttuante, cangiante, incerto. È questa una nuova, moderna forma di bellezza?

Lo scienziato

La quantistica vede

un mondo non statico

ma cangiante. È lo

stesso sguardo dell’arte

POZZI «Proprio come la quantistica mette la realtà in relazione con chi la vive e la osserva, anche l’opera d’arte fa questo. Ma c’è di più: l’arte mette in connessione quella rete di significati incastonati nell’opera con la rete neurale di chi la guarda. E quando i due elementi si allineano si crea una terza realtà emergente, unica, irripetibile. L’opera d’arte è sempre la stessa ma crea un nuovo mondo a seconda di chi guarda».

ORITI «Sulla bellezza del mondo incerto tratteggiato dalla quantistica vorrei dire questo: proprio perché non dà per scontato che quella particella sia là e basta, come nella fisica classica, ma è fatto di fluttuazioni, questo mondo ci costringe a fermarci e a guardare con più cautela le cose. Con più rispetto, dunque con una bellezza data dalla libertà di osservazione».

L’opposizione ai dogmi. Un altro filo che lega l’arte alla fisica quantistica?

POZZI «Sì, la facoltà di mettere in discussione ogni certezza, propria dell’arte».

ORITI «Mi piace pensare che noi scienziati siamo creatori di mappe per capire il mondo, più che detentori della verità. Parlo per me: la scienza non è un corpus di conoscenze statico a cui riferirsi per avere certezze; è lo stato dell’arte di un processo di costante approfondimento e ripensamento della nostra immagine del mondo».

Sia l’arte che la scienza aiutano a capire che futuro verrà. In che modo?

POZZI «Un suggerimento recente: l’universo come un condensato/fluido e l’idea un origine dell’universo come una transizione di fase, simile alla condensazione del vapore in un liquido. Un mondo radicalmente nuovo, di sicuro, e scienza di frontiera al massimo grado».

ORITI «Forse noi Millennial siamo stati i primi a dover fare i conti con il cambio di paradigma e da un certo punto di vista i primi a dover tentare di conciliare nelle nostre vite la sfera analogica a quella digitale, che sempre piu’ spazio e importanza sta prendendo in questo delicato momento storico. Immaginare l’ibridazione di queste due modalità di interazione comporta scompensi e criticità immaginative».

«Criticità immaginative»: forse il futuro che AGO Modena cerca di immaginare con questa rassegna potrebbe trovare in questa espressione uno dei suoi cuori. Il futuro dipenderà (anche) da quello che riusciremo ad immaginare. Oltre che a scoprire.

(Corriere della Sera, pag. 38-39)

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