Giulio Bacosi

Nashville, le paranoie di un kamikaze

La solitudine – indotta, sovente, da chi ci circonda – può essere un male silenzioso, subdolo, periglioso.
Tanti ne sono responsabili.
Pochi, pochissimi, sono infatti gli asceti autentici…

L’attentatore di Natale ha vissuto in solitudine. Ed è morto con un gesto individuale facendosi esplodere in piena Nashville, Tennessee. Ad accompagnarlo nell’ultimo atto un audio con la canzone Downtown di Petula Clark, il brano di successo del 1964, con parole adatte al profilo: «Quando sei solo e la vita ti isola ancora di più puoi sempre andare in centro città… Puoi dimenticare tutti i tuoi problemi». E Anthony Quinn Warner lo ha fatto.

Il kamikaze ha passato gran parte della sua esistenza nel proprio mondo ristretto. Al liceo frequentava la squadra di golf e il suo allenatore dell’epoca dice secco: «Era un secchione sfigato». Una volta diplomato si è dedicato ai computer dimostrando grandi capacità, lavorando sempre da solo, creandosi una rete di clienti. Era esperto (anche di esplosivi), serio e riservato. Per anni ha abitato ad Antioch, sobborgo di Nashville: una casa protetta da una staccionata, vigilata da sensori e telecamere di sicurezza, con cartelli che ammonivano a non entrare nella proprietà. Un tipo stravagante — definizione di un vicino — un eremita che se lo salutavi ti guardava come per dire «cosa vuoi da me». In apparenza non navigava sui social.

Nel passato Warner ha incrociato la legge, un arresto nel 1978 per possesso di stupefacenti, un inciampo superato dall’impegno professionale, diviso tra installazione di sistemi d’allarme e interventi per sistemare pc presso aziende. Nessuno ha mai avuto ragione di lamentarsi. Una realtà diversa da quella familiare. Il futuro uomo-bomba aveva ridotto i rapporti con i parenti. La madre, Betty Lane, lo aveva denunciato per una questione di eredità, un cugino afferma di non averlo più visto da un decennio. Nel 2011 ha perso il padre, Charles, detto Popeye, deceduto all’età di 78 anni, sofferente di demenza. E qui c’è un particolare che attende verifiche. Il papà era stato dipendente della compagnia telefonica Bell — in seguito confluita nella AT&T — e stando ad alcune testimonianze Anthony riteneva che i problemi di salute di Charles fossero derivati dal suo impiego. Questa idea lo ha spinto alla missione distruttrice? È stato il primo passo — aggiungono altri — verso un’ossessione sviluppata nel tempo nei confronti della rete 5G. Warner credeva che potessero usarla per spiare i cittadini, un sospetto rafforzato dal fatto che era uno specialista e che in tanti negli Usa sono su questa linea.

E forse è seguendo un filo rosso invisibile che Warner ha deciso di passare all’azione. Prima, però, ha liquidato il resto. Si è disfatto delle sue due abitazioni regalandole ad una giovane californiana, ha scritto che si sarebbe assentato per trascorrere del tempo nei boschi, ha annunciato ad un’ex fidanzata di avere il cancro e comunicato, con una email, che andava in pensione. Anthony — sostiene un’altra indiscrezione da confermare — era certo che lo avrebbero presto ricordato come un eroe. Attenzione: queste, per ora, sono delle annotazioni dei cronisti, punti di vista registrati dai poliziotti. L’Fbi non si è sbilanciata sul movente preferendo continuare a scavare a cercare riscontri per quello che comunque può essere ritenuto un atto di terrorismo. È una valutazione non condivisa da quanti pensano sia la mossa di una persona con problemi ma perfetta nell’esecuzione del piano. Voleva fare danni pesanti senza uccidere, ha ribadito un investigatore.

All’alba di Natale è salito sul suo camper tramutato in ordigno, ha guidato fino alla Seconda Avenue, si è fermato davanti al palazzo dell’AT&T. Meticoloso, ha attivato l’audio che annunciava l’esplosione, ha spiato dall’interno l’arrivo della polizia, ha dato 15 minuti di tempo per sgomberare la zona ed ha lanciato la canzone della Clark per poi innescare la carica. Un finale non comune per l’esistenza di un uomo rimasto nell’ombra.

(Fonte: Corriere della Sera)

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